Capitolo XIV

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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"-Al pane, - disse Renzo, ad alta voce
e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza. - E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza! All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato! ..."

CHI?

Ambrogio Fusella (il poliziotto travestito)

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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È un poliziotto travestito da popolano che si mescola alla folla dei rivoltosi durante il tumulto di S. Martino a Milano: compare nel cap. XIV e la sua attenzione è attirata da Renzo il quale, eccitato dagli avvenimenti della giornata (il giovane ha assistito all'assalto al forno delle Grucce e alla casa del vicario di Provvisione, tratto in salvo da Ferrer) arringa la folla con un improvvisato discorso in cui invoca giustizia contro tutti i signori prepotenti. Il poliziotto lo prende per uno dei capi della rivolta e in seguito lo avvicina, proponendo di guidarlo a un'osteria dove farlo alloggiare: Renzo cade ingenuamente nella trappola e lo segue, senza sospettare che lo sbirro vorrebbe addirittura condurlo "caldo caldo alle carceri" (l'autore preciserà l'identità e le reali intenzioni dell'uomo nel cap. XV, benché molti indizi ne svelino le intenzioni già in precedenza). Renzo entra poi nell'osteria della Luna Piena, essendo troppo stanco per proseguire, e il poliziotto è costretto a seguirlo nella locanda il cui oste lo conosce bene e si lamenta tra sé di averlo tra i piedi in quella giornata tumultuosa.

In seguito Renzo mostrerà ingenuamente al suo compagno e agli altri avventori dell'osteria l'ultimo dei pani raccolti a terra al suo ingresso a Milano (XI), affermando di averlo trovato e dicendosi pronto a pagarlo al proprietario, cosa che fa molto ridere la brigata (agli occhi del poliziotto è un'ammissione del fatto che Renzo abbia preso parte all'assalto dei forni). Lo sbirro dice all'oste che Renzo intende fermarsi a dormire e questo è un segnale al padrone del locale, il quale si affretta a chiedere al giovane il nome e il luogo di provenienza: Renzo protesta vivacemente e l'oste gli mostra una copia della grida che impone agli osti di chiedere tali informazioni, suscitando le rimostranze del giovane che ha bevuto molti bicchieri di vino e a cui l'alcool comincia a dare alla testa. Il poliziotto suggerisce all'oste di non insistere oltre per non insospettire Renzo, quindi riesce a estorcergli il nome con un astuto strategemma: propone di dare a ciascuno il giusto quantitativo di pane tramite un biglietto con scritto il nome, la professione e i familiari a carico, dicendo di chiarmarsi Ambrogio Fusella e di svolgere il mestiere di spadaio (si tratta con tutta evidenza di un nome falso); Renzo cade nell'inganno e dice di chiamarsi Lorenzo Tramaglino, dando quindi al poliziotto ciò che gli serve per spiccare in seguito un mandato di arresto nei suoi confronti. A questo punto il sedicente spadaio è soddisfatto e tronca in fretta la discussione con Renzo, affrettandosi ad alzarsi e a uscire dall'osteria, incurante del giovane che vorrebbe trattenerlo per bere un altro bicchiere di vino.

Il personaggio è protagonista di un episodio in cui viene mostrata la condotta subdola e assolutamente sleale degli uomini di legge, i quali non sono interessati a svolgere indagini per stabilire la verità, ma solo a trovare dei capri espiatori della rivolta per assicurarli alla giustizia e infliggere punizioni esemplari come deterrente per il popolo (Renzo è giudicato un capo della sommossa in quanto ha fatto un discorso in piazza, il che è sufficiente per ordinare il suo arresto anche in mancanza di prove certe). Ciò è parte della polemica contro l'inefficienza della giustizia che attraversa il romanzo e che avrà ulteriori risvolti nella vicenda degli untori cui l'autore accenna nel cap. XXXII, ripresa nella Storia della colonna infame posta in appendice al libro.

DOVE?

Milano

illustrazione originale di Francesco Gonin del 1840

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È la principale città lombarda del XVII secolo e la sede del governo spagnolo dell'epoca, nonché la capitale dell'omonimo Ducato e uno dei principali centri dell'Italia settentrionale: rappresenta l'unica reale ambientazione urbana di cui l'autore fornisca una descrizione diretta e dettagliata nel corso del romanzo, in cui essa è lo scenario di due importanti episodi narrativi (il primo viaggio di Renzo, in occasione del tumulto per il pane dell'11 novembre 1628, e il secondo viaggio quando la città è sconvolta dalla peste del 1630). Milano è mostrata come una una grande città caotica e tumultuosa, malsana, dominata da una folla disordinata e violenta che si contrappone alla pacifica e quieta popolazione contadina dei piccoli centri (il Bergamasco, il paese dei due promessi...), in accordo con la visione manzoniana che privilegia le ambientazioni rurali e rappresenta quelle cittadine come negative e piene di vizi morali. Non a caso sarà soprattutto Renzo ad essere protagonista di varie "disavventure" nelle strade della metropoli, all'interno di un percorso morale che sarà occasione per lui di crescita umana e di "formazione" (specie in occasione del secondo viaggio, in cui l'attraversamento della città flagellata dalla peste appare quasi come una "discesa agli inferi"), mentre Lucia, pur essendo presente come personaggio in questo spazio narrativo, non vi viene quasi mai mostrata se non all'interno della casa di donna Prassede e don Ferrante, oppure nel lazzaretto che costituisce una sorta di universo separato e in certo modo indipendente dalla realtà cittadina in cui pure è inserito. Fanno parte dell'ambientazione milanese anche il forno delle Grucce e l'osteria della Luna Piena, per cui si rimanda alle rispettive voci.

È quasi inutile sottolineare che Milano riveste grande importanza nell'economia narrativa del romanzo e molte pagine sono dedicate alla sua descrizione, sia per l'effettiva importanza della città fin dai tempi più antichi, sia in quanto luogo in cui l'autore è nato e ha trascorso quasi la sua intera vita, per cui la conoscenza che Manzoni ha di tale ambientazione riflette la sua personale esperienza (la stessa cosa, del resto, può dirsi per tutti gli altri luoghi del romanzo, non a caso posti anch'essi in Lombardia). Lo scrittore ricostruisce l'ambiente della Milano del Seicento basandosi sulle testimonianze degli storici dell'epoca, che egli consulta scrupolosamente e non manca di citare all'occasione.

QUANDO?

11 novembre 1628, pomeriggio-sera

RIASSUNTO

La folla ora non è più compatta: si disperde e si ricompone in piccoli gruppi a commentare e a prevedere. Si parla dell'accaduto, delle ragioni che vi stanno sotto, si manifestano propositi di ritorno per il giorno seguente. Renzo, come in una sorta di eccitazione, quasi di ubriachezza, al centro di un crocchio prende la parola e dal fatto milanese risale al fatto personale: parla ad alta voce di ingiustizia, di prepotenze di certi tiranni, del tutto dissimili da Ferrer, manifesta propositi di vendetta e di pulizia, avanza la proposta del tutto rivoluzionaria dell'alleanza di tutto il popolo per la restaurazione della giustizia. Tutti applaudono. Ma ormai è buio: la gente si prepara a tornare a casa. Renzo da uno che gli si è messo alle costole e che gli si dimostra premuroso (è un informatore della polizia) si fa accompagnare in una trattoria vicina: li può mangiare e dormire. A tavola lo sbirro cerca di farlo parlare e di fargli dire nome e cognome: non c'era riuscito l'oste. Ma lui lo fa cadere in un tranello, favorito anche dal fatto che Renzo da uno stato di esaltazione passa, per il molto vino che beve, ad uno stato di effettiva ubriachezza. Sproloquia e nelle sue parole in modi oscuri ed incerti torna l'immagine di don Rodrigo, il persecutore, l'ingiusto e prepotente tiranno che lo ha indotto alla fuga dal suo paese. Finalmente l'oste riesce a portarlo in camera e a buttarlo sul letto.

TEMI PRINCIPALI TRATTATI NEL CAPITOLO

L'episodio è fondamentale nel percorso di "formazione" di Renzo, che dopo aver assistito al tumulto per il pane si mette a "predicare in piazza" attirando l'attenzione di un poliziotto, il che sarà poi causa del suo arresto e della sua fuga nel Bergamasco (il giovane paga lo scotto della sua condotta imprudente e della sua ingenuità, specie quando rivela allo sbirro il proprio nome). Gli altri protagonisti del capitolo sono il sedicente Ambrogio Fusella, abile nel raggirare Renzo per estorcergli il suo nome, e l'oste della Luna Piena, costretto a reggere il gioco al poliziotto e irritato contro il montanaro per la sua ingenuità (i tre danno vita a una sorta di commedia delle parti, in cui Renzo è ovviamente la vittima designata e viene ingannato anche a causa della sua ubriachezza).

Il discorso che Renzo rivolge alla folla dopo il tumulto è un piccolo capolavoro di oratoria popolare, in cui emerge tutta l'amarezza del giovane contadino per le angherie e i soprusi patiti al suo paese: ai suoi occhi di montanaro inurbato la sommossa è stata un atto di giustizia e il popolo dovrebbe andare da Ferrer per far rispettare la legge, facendo in modo che le gride siano finalmente applicate, senza rendersi conto che l'unico a subire le ritorsioni della giustizia sarà lui stesso, pur non avendo fatto nulla di male. L'autore guarda con simpatia Renzo e i suoi guai, ma vuole anche mettere in guardia contro i moti di piazza e le soluzioni sediziose ai problemi politici, poiché le rivolte causano troppo spesso disordini e violenze indiscriminate (alla fine del romanzo Renzo dirà di aver imparato "a non predicare in piazza", condannando in modo implicito la sua partecipazione ai tumulti di Milano).

L'autore svela la reale identità di Ambrogio Fusella nel cap. XV, quando dirà che è un "bargello travestito" sguinzagliato dal capitano di giustizia per trovare dei capipopolo da arrestare e con cui dare un esempio alla folla in tumulto: del resto già nel cap. XII un popolano aveva detto di aver visto "certi galantuomini che giran, facendo l'indiano", alludendo proprio alla presenza di poliziotti mescolati alla folla, mentre lo stesso oste della Luna Piena lo designa come "cane", alludendo al fatto che l'uomo va a caccia di criminali. Il nome che egli fornisce a Renzo è dunque falso, come il particolare pietoso dei quattro figli che lo attendono a casa.

Nel finale del capitolo Renzo viene mostrato completamente ubriaco, intento a dare un pessimo spettacolo di sé agli altri avventori dell'osteria: l'autore disapprova esplicitamente la sua condotta e in seguito il giovane si mostrerà assai più morigerato nel bere (specie quando andrà all'osteria di Gorgonzola, durante la sua fuga verso il Bergamasco). Durante l'intero episodio la voce del narratore si fa spesso sentire per giudicare negativamente il comportamento del protagonista, come del resto è avvenuto in diversi momenti dell'avventura milanese di Renzo (la curiosità verso il tumulto lo ha "perduto", mentre avrebbe potuto attendere in chiesa come gli era stato suggerito dal frate e come lui stesso rimpiangerà durante la sua fuga dopo l'arresto). Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore.

Renzo definisce "poeta", vale a dire cervello balzano, un avventore che pronuncia una battuta sarcastica e Manzoni osserva con ironia che questo è il significato dato alla parola da quel "guastamestieri del volgo", mentre il poeta dovrebbe essere "un sacro ingegno": è ovvio che l'autore la pensa in realtà come il popolo e che la definizione da lui data di poeta ("un abitator di Pindo, un allievo delle Muse") corrisponde alla concezione neoclassica che Manzoni ha del tutto abbandonato in questa fase della sua attività di scrittore.

TRAMA

Renzo arringa la folla in tumulto con un discorso, attirando l'attenzione di un poliziotto travestito che poi lo conduce all'osteria della Luna Piena. Renzo si ubriaca e finisce per rivelare il proprio nome al poliziotto, che poi lo lascia solo. Renzo, completamente ubriaco, diventa lo zimbello degli avventori.

GLOSSARIO

Arietando: picchiettando con l'indice la fronte

Babilonia: gran confusione

Baloccandosi: giocherellando

Bricconerie: prepotenze, vessazioni

Canzonare: prendere in giro

Ce n'era del prossimo: c'era un sacco di gente

Come l'hanno accomodato: come l'hanno conciato

Con un po' di politica: con diplomazia, con cautela

Conforme: secondo quanto prescritto

Disdirebbero: sarebbero inopportune, disdicevoli

Faccia d'ariano: faccia da eretico

Farla entrare in grazia: renderla gradita

Fesso: rotto

Fior di senno: un po' d'intelligenza

Galera: condanna ai lavori forzati

Il saliscendi: la leva della serratura

In castello: nello stomaco

Insegnarmi: suggerirmi, indicarmi

Pitaffio: epitaffio, avviso

Scalzacane: poveraccio

Taffete: subito, immediatamente

Trastullo: occasione di divertimento, presa in giro, scherno

Un saccone: un materasso

Una schiacciata: una focaccia

DOMANDE SULLA COMPRENSIONE DEL CAPITOLO:

1) Cerca e ricopia la breve similitudine riguardante la folla che si disperde all’arrivo della polizia e si ferma qua e là in crocchi lungo le strade.
2) Leggi con attenzione il discorso che Renzo fa volendo dire «anche lui la sua» («Signori miei... dico bene signori miei?»): perchè Renzo si è tanto eccitato in occasione della rivolta dei forni? E nelle sue parole trovi qualche allusione alle sue vicende personali? Cercale e ricopiale.
3) Anche nell’ubriachezza Renzo allude alla sua angosciosa situazione: leggi quello che egli dice quando l’oste gli presenta la «grida» intorno alla necessità di dire il nome e il cognome agli osti («comanda chi può, obbedisce chi vuole») e commenta le parole del giovane.
4) Renzo è colpevole dello stato di ubriachezza in cui è caduto? Quali sono le profonde ragioni del suo comportamento?



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